Storia

La storia del Conservatorio di musica San Pietro a Majella è la storia di diverse e distinte istituzioni confluite – sebbene con modalità e in tempi diversi – a costituire l’attuale organismo, ed è una storia scandita da identità ben precise, da nette vocazioni, attraverso le quali corre, costante, il fil rouge della formazione in ambito musicale.
Il conservatorio di musica, dichiarato reale nel giugno 1807 con decreto di Giuseppe Napoleone e denominato nel 1826 Reale Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella, si configura come il successore e l’erede di tre istituzioni fortemente rappresentative della realtà caritatevole – assistenziale e del panorama musicale di età moderna a Napoli.
Si tratta degli antichi Conservatori di Santa Maria di Loreto, Sant’Onofrio a Capuana e Santa Maria della Pietà dei Turchini, che incarnano nelle proprie vicende un modello applicativo dei canoni di assistenza  e beneficenza, fondato sulle forme tradizionali di carità pubblica e privata.
Il ruolo degli antichi conservatori va inquadrato infatti nelle più ampie politiche di carità e beneficenza attuate in età moderna nei diversi Stati europei e a cui il Regno di Napoli non è indifferente.
Nell’arginare i problemi legati alla povertà e ai suoi effetti, larga parte ha l’umanitarismo di gruppi laici e religiosi attraverso l’istituzione e la gestione di organismi inseriti nella realtà politica, economica, sociale e religiosa della città. Si assiste quindi alla fondazione, tra gli altri, dei conservatori. Tra questi, storia a sé hanno i conservatori musicali, nati come istituti  assistenziali per l’infanzia indigente ed abbandonata e specializzatisi poi, pur senza tradire l’originaria missione, in istituti di formazione musicale. Le scrupolose regole di gestione, l’accorta vigilanza di un regio delegato, il generoso e costante sostegno dei benefattori consentono ai conservatori di rispettare il proprio mandato lungo l’arco temporale di quasi tre secoli.
L’attività musicale, che nel corso del XVI secolo era limitata  alla fornitura di supporto a pratiche devozionali e manifestazioni liturgiche, nel corso del Seicento diviene motore della vita delle istituzioni e cifra d’identificazione. La necessità degli istituti di incrementare le fonti d’introito per coprire le spese di gestione della macchina-conservatorio, l’esigenza di fornire ai fanciulli una formazione spendibile una volta abbandonato il conservatorio, la chiara percezione dell’avvenuto incremento della domanda di servizi musicali da parte di una committenza non più tradizionalmente religiosa ma anche laica, conducono alla trasformazione degli istituti in scuole di musica, aperte anche ad allievi esterni e caratterizzate da un’organizzazione sempre più complessa e sofisticata.
Questo schema rimane sostanzialmente valido fino al Decennio francese, quando cioè viene avviato un processo di centralizzazione e di controllo della gestione degli enti di assistenza da parte dello Stato che conduce ad inevitabili modifiche nell’assetto e nella struttura delle istituzioni.
Il più antico dei conservatori di musica operanti a Napoli, Santa Maria di Loreto, sorge nel 1537 nel borgo di Loreto per iniziativa «di un povero artigiano chiamato Maestro Francesco il quale illuminato senza dubio dalla Providenza Divina cominciò a raccogliere per la città alcuni Orfanelli, quali unì in un borgo fuori della città».
Nel 1578 nasce la Compagnia della Chiesa  de Santo Nofrio delle veste bianche sita nella strada de Capoana, voluta da produttori e mercanti di stoffe. L’istituzione inizia, nei primi anni del Seicento, ad accogliere fanciulli indigenti a cui insegnare un mestiere; intorno alla metà del secolo vi prende piede l’insegnamento della musica che ne caratterizzerà l’intero percorso.
L’istituzione del Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Figlioli Turchini avviene invece nel 1583, ad opera dei membri della Confraternita della Santissima Croce presso la chiesa cosiddetta dell’Incoronatella in Rua Catalana. I confratelli prendono in affitto una casa sostenendola con private elargizioni e iniziano ad ospitarvi i fanciulli che «abbandonati, andavano mendichi vagando per le contrade». Nel 1592 la necessità di una sede di dimensioni maggiori conduce alla edificazione del complesso di via Medina dove i fanciulli saranno ospitati sino agli anni del trasferimento in San Sebastiano.
Nel febbraio del 1797 si verifica il trasferimento del Conservatorio di Santa Maria di Loreto nella sede del Conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana; tale passaggio accompagna il vero e proprio accorpamento dei due istituti, in funzione del quale Santa Maria di Loreto accoglie gli alunni ed incamera il patrimonio di Sant’Onofrio. A cavallo tra il 1806 e il 1807, poi, viene ufficializzata,  sancita e sistematizzata con appositi provvedimenti, la fusione del Conservatorio di Loreto con quello della Pietà dei Turchini. Il reale conservatorio, quindi, viene collocato nell’edificio dell’ex monastero di San Sebastiano; a seguito dell’avvenuta concessione dei locali di San Sebastiano ai Padri Gesuiti, nel 1826, si attua un nuovo trasferimento dell’istituzione in quella che è l’attuale dimora e a cui si ispira la trasformazione della denominazione in  Reale Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella.
All’istituzione sono preposte una direzione tecnica del ramo musicale -che viene affidata a Giovanni Paesiello come presidente, Fedele Finaroli, e Giacomo Tritto- e una direzione economica di cui si occupa Marcello Perrino; tutto quanto concerne più in generale l’amministrazione, il sistema dell’istruzione, le norme per l’ammissione degli alunni è invece ispirato alle norme generali per lo stabilimento dei collegi nella capitale e nelle provincie del Regno. L’impostazione delle attività di governo dell’istituto subisce diverse modifiche nel corso del decennio francese; poi, con la restaurazione borbonica, si provvede ad introdurre al fianco del direttore tecnico un Rettore ecclesiastico, cui spetta la cura dell’educazione morale e religiosa degli alunni, e una commissione di tre governatori, dediti alle funzioni amministrative e alla vigilanza sul rispetto dei regolamenti. Inoltre Ferdinando I auspica modifiche «sì nei metodi d’insegnamento, e nella educazione morale e religiosa degli alunni, e sì nel sistema di economia e amministrazione». La desiderata riforma, tuttavia, nei fatti non arriverà prima del 1856 quando, con decreto del 21 luglio, viene  stabilito che un Governo composto da tre soggetti di nomina regia curerà l’alta tutela del Real collegio di musica, mentre ad un direttore della musica, sempre di nomina regia  «è conferita la sopraitendenza di tutte le specialità dell’ammaestramento musicale degli alunni»; il decreto inoltre  promulga il Regolamento del Real Collegio di Musica, un imponente testo strutturato in 164 articoli suddivisi in sei titoli: Governo ed amministrazione del Collegio, Disciplina e religione, Insegnamento musicale, Insegnamento letterario, Scuola esterna gratuita, Stipendi.
Giovanni Battista Chiarini nel 1858, nell’aggiornamento delle Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli di Carlo Celano, scrive «Il napoletano istituto musicale raccogliesi oggi nell’antico convento dei PP. Celestini detto di San Pietro a Majella, che posto nel centro della città poco più oltre di Porta Alba, che è nella piazza del Mercatello, è ampio quanto delizioso soggiorno che accoglie fino a 300 e più giovani, i quali si educano alla divina arte, perché la nostra scuola non iscenda menomamente dall’alto seggio a cui è pervenuta. Dei 300 giovani che vi alloggiano, cento vi sono mantenuti gratuitamente dal governo, taluni siano napoletani o stranieri, pagano nove ducati al mese per esservi ricevuti, ed i rimanenti appartengono alle scuole addimandate esterne, sicchè godono soltanto il beneficio dell’istruzione, degli strumenti, della carta ed ogni altra cosa di tale specie che possa lor bisognare. Sono ammessi alle scuole esterne giovanetti non minori di anni dieci, né maggiori di quattordici, che appartengano ad oneste famiglie e sappiano leggere e scrivere; i quali, nei primi quattro mesi, se avranno dato prova di naturale inclinazione alla musica e di buon volere ad appararla, seguiteranno ad esservi instrutti. All’insegnamento di costoro attendono quattro maestri, uno di piano e partimento, un altro di canto, uno di violino ed uno di violoncello; vi ha poi un Ispettor generale di tutti gli istrumenti da fiato. Oltre a ciò gli esterni studiano la lingua italiana e l’aritmetica, e tre volte la settimana vengono assistiti dai maestrini del collegio, che sono gli alunni più esperti, nel prepararsi alla lezione: vanno divisi in due classi, cioè dei principianti e de giovani adulti nello studio del suono e del canto. … Gli allievi vengono da prima ammaestrati nella grammatica dell’arte e nella divisione del tempo dai maestrini, dai quali altresì, secondo che avanzano nella istruzione, sono istituiti ne’principi del suono, insino a tanto che non siano atti a poter ricevere le lezioni dai principali maestri del collegio, che sono: un maestro di contrappunto e composizione, due di partimento, due di canto, uno di flauto, uno di oboè, uno di clarinetto, uno di fagotto, uno di corno, due di violoncello e di basso, due di violino e viola. Vi sono inoltre due direttori uno delle scuole e l’altro dei concerti di canto; e a tutte codeste schiere sta a capo un direttor generale della musica. Il metodo che vi si osserva è quello della scuola del Durante, del Finaroli e dello Zingarelli. Quanto all’istruzione letteraria, nelle ore di vespro si esercitano nelle lettere italiane e latine, nella filosofia, nella lingua francese e nella calligrafia, ed anche nella declamazione. Di questo studio poi danno saggio nella sala del teatro del collegio. (…) Compiuto che hanno gli anni ventidue, gli alunni ammessi gratuitamente escono fuori del collegio, e così fanno luogo ad altri che approfittino di un tale beneficio».
All’indomani del processo di unificazione nazionale sorge l’esigenza di un modello di uniformità normativa e organizzativa a cui ispirare i diversi istituti musicali preunitari, come emerge anche nel corso del Primo Congresso musicale italiano organizzato proprio a Napoli nel 1864.
Nel 1871 viene convocata a Firenze, dal Ministro della Pubblica Istruzione, la prima commissione del settore presieduta da Giuseppe Verdi e costituita da direttori e docenti degli istituti «per studiare i mezzi onde procurare un indirizzo fermo e concorde all’insegnamento musicale in Italia».
Nella sostanza i lavori della Commissione conducono ad un’indicazione di massima rivolta a tutti gli istituti affinché adottino il modello di ordinamento del Conservatorio di Milano.
Intanto la storia del conservatorio napoletano si svolge su un duplice piano che prevede, da una parte, l’adesione ai dettami della normativa nazionale per quanto concerne l’organizzazione amministrativa e la programmazione didattica e, dall’altra, la strenue difesa delle sue peculiarità di ente morale autonomo, che trovano ampia legittimazione nell’enunciato dell’articolo 1 dello Statuto del 1890: «Il R. Conservatorio di Musica di Napoli è un ente autonomo, posto sotto la dipendenza del Ministero della Pubblica Istruzione ed ordinato all’insegnamento della musica nelle varie sue manifestazioni, nonché agli studi letterari adatti a compiere l’istruzione degli alunni d’ambo i sessi».
In questo modo e dopo un lungo lavoro di studio, analisi e persuasione da parte della dirigenza del Conservatorio nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione, si propone una legittimazione della particolare natura di un organismo in cui convivono l’ente morale, dedito alla gestione di un patrimonio che gli perveniva dagli antichi conservatori e l’istituto d’arte e di pubblica istruzione dipendente dallo Stato.
La normalizzazione degli aspetti normativi e amministrativi, in ambito nazionale, è affidata ai provvedimenti legislativi del 1912 e del 1918 e alla cosiddetta Riforma Gentile.
In particolare con l’ordinamento amministrativo del 1912, l’Approvazione dei ruoli organici degli Istituti di belle arti e di musica riporta in 28 articoli le prime disposizioni comuni su nomine, retribuzioni e sanzioni dei docenti negli istituti governativi, fino ad allora regolamentati da provvedimenti specifici. Le norme riguardanti il numero di allievi e gli orari di servizio sono invece oggetto del successivo Regolamento generale sugli istituti di belle arti, di musica e di arte drammatica emanato con Decreto luogotenenziale n. 1852 del 5 maggio 1918.
Nel 1923, con la realizzazione legislativa della Riforma Gentile, vi è un provvedimento specifico per l’istruzione musicale.
La riorganizzazione della didattica, seppur inserita anche in alcuni articoli del citato regolamento del 1918, viene affrontata specificatamente con i regi decreti del 2 marzo 1899 e dell’ 11 dicembre 1930. In particolare, con il provvedimento del 1930, dedicato a Norme per l’ordinamento dell’istruzione musicale ed approvazione dei nuovi programmi d’esame, viene dato l’avvio ad un processo di rinnovamento dell’apparato didattico che potrà dirsi concluso soltanto con la completa realizzazione della riforma dell’Alta Formazione Artistica e Musicale così come prospettata dalla legge n.508 del 1999.